Medicina e Salute

WALA – Intervista ad Antal Adam

Introduzione

Rudolf Hauschka (1891-1969) conobbe Rudolf Steiner, il fondatore dell’Antroposofia, nell’estate del 1924 partecipando ad un convegno ad Arnheim in Olanda. Steiner suggerì al giovane chimico viennese che gli chiedeva "cos’era la vita", di studiare il ritmo poiché "il ritmo porta la vita".

Nel 1929 Hauschka ebbe modo di verificare in pratica ciò che aveva elaborato del suggerimento di Steiner, quando, invitato dalla dottoressa Ita Wegman, si trasferì in Svizzera per lavorare come ricercatore presso l’Istituto clinico terapeutico di Arlesheim. Il suo compito era sviluppare, unicamente con ingredienti naturali, un processo di produzione di rimedi medicinali privi di alcol come conservante. Hauschka riuscì a ricavare delle tinture madri, ovvero estratti di piante officinali, attraverso una lavorazione in cui la materia prima veniva fatta passare ritmicamente dal caldo al freddo, dall’oscurità alla luce, dal movimento alla quiete. Con questo originale processo di lavorazione si impediva la decomposizione della tintura e il primo estratto di petali di rosa rimase inalterato per molti anni pur non contenendo assolutamente alcol.

L’efficacia dei preparati così ottenuti fu tale che nel 1935, per far fronte alla crescente domanda, Hauschka fondò nei pressi di Stoccarda una sua azienda di produzione. Per darle un nome utilizzò quanto si era rivelato essenziale nel suo singolare processo produttivo ovvero il calore (Wärme), la cenere (Asche), la luce (Licht) e quindi ritmicamente ancora la cenere (Asche): WALA. Con il logo invece, mise in evidenza la posizione centrale dell’essere umano "avvolto" quasi dai tre involucri che rappresentano gli altrettanti regni della Natura.

In breve tempo il laboratorio di Stoccarda divenne rinomato al punto da richiedere una ulteriore espansione dello stabilimento ma ormai, con l’avvento al potere del Nazionalsocialismo, oscure nubi si stavano addensando sulla Germania e da lì a poco fu la guerra… Nel 1941 lo stesso Rudolf Hauschka insieme ad altri collaboratori, venne arrestato dalla Gestapo e la WALA venne chiusa. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1947, Hauschka riaprì la WALA nei pressi di Monaco e, nel 1950, ebbe modo di trasferirla a Bad Boll/Eckwaelden vicino a Stoccarda, sua sede attuale, grazie ai locali messi a disposizione da parte di un istituto terapeutico educativo che aveva sede in quel luogo.

Rudolf Hauschka era profondamente convinto che una impresa non può avere come obiettivo principale la massimizzazione del profitto. Quest’ultimo è solamente un mezzo indispensabile per mettere l’azienda nelle condizioni migliori ed efficienti possibili per ottemperare al suo autentico compito: soddisfare i bisogni umani.

Forte di questa convinzione, Hauschka ad un certo punto si risolse a trovare un modello d’impresa che rispecchiasse nel modo migliore la sua visione aziendale. Era necessario ora dare una risposta a queste domande:

  • Chi deve essere il proprietario dell’azienda?
  • Come si può salvaguardare la vision aziendale nel lungo periodo?
  • In che modo e a chi distribuire il profitto dell’azienda?
  • In un’azienda che ha come obbiettivo quello di produrre medicinali antroposofici, la proprietà privata è in assoluto ancora possibile?

Nel 1986, il management di WALA, costituito dai soci Karl Kossmann e Heinz-Hartmut Vogel, decise di ridisegnare la forma giuridica dell’azienda per cercare di salvaguardarne la vision e la missione sociale che aveva ricevuto da Rudolf Hauschka. In quel momento esistevano 18 persone nella lista dei possibili eredi della società e questo rappresentava un grande rischio di frammentazione dell’impulso iniziale: la salvaguardia dell’etica del lavoro e dello sviluppo organizzativo che fino a quel punto erano stati la forza dell’azienda entravano in antagonismo con il capitale. WALA si trasformò così in WALA Heilmittel GmbH[1], e la proprietà di questa venne trasferita al 100% alla Fondazione WALA (WALA Stiftung).

Dallo statuto di WALA Stiftung vediamo come essa sia una Fondazione aziendale senza fini di lucro che ha come compito principale quello di "tutelare il buon esito della società WALA Heilmittel GmbH". In sostanza tutti i profitti di WALA vengono ceduti alla Fondazione che li reinveste in parte nell’azienda e in parte li ridistribuisce ai dipendenti. La Fondazione è costituita da 5 membri che offrono la propria prestazione a titolo gratuito (sono previsti solamente dei gettoni di presenza per la partecipazione alle riunioni, rimborsi spese per viaggi/pernottamenti e un indennità mensile per attività legate alle proprie mansioni – ad es. telefono, posta, etc.). Un seggio della Fondazione è fisso mentre i rimanenti quattro possono essere assegnati attraverso nuove candidature che devono essere accettate all’unanimità dagli altri membri della Fondazione.

Una importante conseguenza di questo assetto societario, è che WALA GmbH non può essere oggetto di compravendita ed essa può quindi focalizzarsi su quella che è la sua ragion d’essere: produrre medicinali e cosmetici di qualità attraverso il lavoro di una comunità di persone che partecipa agli utili aziendali.

Quanta parte del profitto debba andare ai dipendenti e quanta invece debba essere reinvestita nell’azienda lo decidono di comune accordo WALA GmbH e la Fondazione. La parte destinata ai dipendenti rientra tuttavia subito nelle disponibilità aziendali, in quanto viene accantonata come se si trovasse in banca: l’azienda ha la possibilità di utilizzare i soldi come forma autonoma di finanziamento e il dipendente riceve annualmente un interesse. Ogni anno al dipendente vengono versati sul suo "conto WALA" i dividendi concordati per quel periodo ma egli non può disporre della cifra prima di 25 anni o nel caso lasci anticipatamente l’azienda. Solo allora potrà riscuotere, in dieci rate annuali, quanto gli è dovuto.

Esaminando ulteriormente lo statuto della Fondazione, vediamo che essa ha diritto di voto nel consiglio di amministrazione di WALA GmbH "per assicurare che la società abbia sempre un Consiglio di Amministrazione in grado di far fronte alle nuove esigenze". Inoltre, "nello scegliere i dirigenti e gli amministratori delegati, la Fondazione dovrebbe nominare persone che condividano gli ideali WALA" (Art.2 par. 3). Un articolo interessante stabilisce, sebbene in modo non vincolante, una sorta di eredità spirituale della proprietà: "Ogni membro del CdA è libero di depositare una lista di persone meritevoli di essere nominati suoi successori in caso di sua morte" (Art.4 par. 4). Ci si cautela pure da possibili comportamenti illeciti da parte dei membri della Fondazione: "Nessun bene della Fondazione può essere prelevato per fini che vanno al di là delle competenze. Nessuna persona può essere retribuita con uno stipendio irragionevolmente alto per eseguire compiti amministrativi per la Fondazione o ricevere qualsiasi altra forma di dotazione" (Art. 3 par. 4). Ma quale organo dovrebbe vigilare sul rispetto di queste e altre norme? Lo statuto consente la formazione di un organo di controllo denominato "Comitato Consultivo" che ha diverse funzioni:

  • consiglia la Fondazione in modo che agisca conformemente allo spirito WALA e al suo Statuto
  • ricopre il ruolo di consigliere presso WALA GmbH ma senza intervenire nel merito riportando unicamente alla direzione della Fondazione
  • esamina le delibere della Fondazione per verificarne la conformità allo Statuto

La Fondazione ha un ulteriore compito qualora dovesse trovarsi nelle condizioni di non poter più operare secondo lo spirito del suo Statuto, pur avendo fatto il possibile attraverso gli strumenti che ha disposizione. In questo caso la Fondazione dovrebbe sciogliersi e trasferire il proprio capitale sociale ad una ulteriore fondazione, la Fondazione Dr. Hauschka Stiftung. Si tratta di una fondazione senza scopo di lucro creata con una parte del capitale con cui fu creata WALA GmbH per scopi essenzialmente di ricerca. Se questa in quel momento non dovesse esistere più, allora la Fondazione dovrebbe "decidere , con una delibera dei membri, a quale scopo devono essere convogliate le risorse della Fondazione e trasferire le stesse ad una organizzazione idonea e capace di espletare tali compiti e attendibile sotto ogni aspetto". Si tratta dunque di una "uscita di sicurezza" nel caso dovessero sorgere gravissimi contrasti tra la Fondazione e WALA GmbH, volta a portare in salvo la "cellula originaria" di WALA e farla rinascere in un altro contesto.

WALA opera all’estero attraverso proprie filiali e una propria rete di rivenditori. Esistono filiali WALA in Olanda, Svizzera, Austria, Italia, Francia e ad Hong Kong, mentre nel resto del mondo organizzazioni indipendenti dal punto di vista del marketing e delle vendite, importano e rivedono i prodotti WALA.

WALA oggi è una azienda con oltre 900 dipendenti, un fatturato di oltre 115 milioni di euro, con un utile netto di 5-8 milioni di euro.

L’intervista

Signor Adam che ruolo ricopre in WALA?
Sono responsabile dell’ufficio pubbliche relazioni nonché portavoce ufficiale di WALA.

Potrebbe iniziare a descriverci WALA come azienda?
Per descrivere al meglio WALA dobbiamo cercare di caratterizzare gli impulsi che ne stanno alla base. Nati da intuizioni del dott. Rudolf Hauschka, questi impulsi possono essere definiti come "curativi" o "risananti" sebbene non si rivolgano esclusivamente all’ambito ristretto della salute dell’essere umano. Si sono certamente evoluti nel corso del tempo ma sono sempre stati presenti in WALA. Il primo impulso curativo ha costituito la base dell’attività imprenditoriale del dott. Rudolf Hauschka e in sostanza si occupa della salute dell’essere umano attraverso rimedi medicinali e cosmetici. Hauschka cercava di stimolare con i suoi prodotti la capacità di autoguarigione della pelle. L’offerta di WALA include anche una linea di cosmetici speciali destinati a coloro che hanno problemi con la pelle come herpes, dermatiti, etc.. I nostri medicinali sono tali anche per la legislazione tedesca sebbene non siano allopatici ma antroposofici ed ottenuti con metodi omeopatici.

Il secondo impulso curativo invece quale sarebbe?
Il secondo impulso curativo riguarda invece l’essere umano e il suo rapporto con l’ambiente, ovvero le modalità con cui ci procuriamo le materie prime, come gestiamo le scorte, come coltiviamo la terra. Tutte le nostre coltivazioni hanno il marchio DEMETER, non si tratta dunque solamente di agricoltura biologica ma biodinamica. La prima vieta l’uso di pesticidi, fertilizzanti chimici, etc., la seconda invece, oltre a tutto questo, tratta la terra come un essere vivente. Si provvede a bilanciare quanto la terra dà restituendole quanto le è necessario utilizzando composti naturali per la fertilizzazione (preparati), ospitando api nelle coltivazioni e così via.

Questo approccio vale anche per i vostri fornitori?
Certamente. Ovviamente sosteniamo e promuoviamo questo approccio con partner e fornitori che possono anche trovarsi all’estero. Abbiamo diversi progetti all’estero, ad esempio in Afghanistan abbiamo offerto ai contadini di coltivare rose con il metodo biodinamico in sostituzione del papavero da oppio. Altre coltivazioni biodinamiche di rose le abbiamo in Etiopia, mentre in Burkina Faso abbiamo coltivazioni da cui provengono le noci da cui si ricava il burro di karitè.

I rapporti con i fornitori come quelli che ha citato si limitano alle sole tecniche di coltivazione?
Non solo. Cerchiamo di fare in modo di rendere queste persone indipendenti economicamente trasferendo le nostre competenze. In Burkina Faso prima che arrivassimo noi, si coltivavano le sole noci che venivano trasferite in Europa come materia prima, senza alcuna lavorazione locale. Ora in loco abbiamo tutto il processo che arriva fino alla produzione del burro di karitè. Quindi da una parte il produttore locale riceve almeno 10 volte più soldi di prima e sviluppa un proprio know how, dall’altra si trasporta il solo prodotto finito che occupa molto meno spazio rendendo più efficiente il processo di trasporto. Ottenendo dunque anche un minor impatto ambientale.

Non si tratta dunque di aiuti allo sviluppo in senso ordinario
Esattamente, sebbene provvediamo anche a fornire supporto finanziario con prestiti a tasso zero. Altro aspetto positivo è che diamo a questi partner la certezza delle quantità di materia prima che verranno acquistate ad un giusto prezzo.

Si potrebbe dunque dire che il secondo impulso curativo consiste in questo aspetto etico ed ecosostenibile?
Esattamente, è proprio così.

Il terzo impulso curativo invece in cosa consiste?
Il terzo è in sostanza un impulso sociale, ed è rappresentato esteriormente dalla particolare forma giuridica di WALA. Direi che il significato che diamo al profitto e il modo in cui gestiamo il denaro, abbia per così dire le proprie radici nello statuto della Fondazione WALA. Da esso emerge come il capitale non è una merce e neppure il lavoro umano lo è.

Per quale motivo dovrebbero dunque esistere le aziende?
Nella nostra visione, il profitto non deve essere lo scopo principale dell’azienda ma solamente uno strumento per il suo vero obiettivo: soddisfare i bisogni della gente ovvero, nel nostro caso, produrre medicinali per quando sono malati o cosmetici per la cura del corpo. Da tenere presente che i nostri cosmetici non sono cosmetici ordinari poiché essi pure nella loro composizione hanno gli estratti curativi per cui non si tratta banalmente di apparire più belli ma anche di prendersi cura della propria pelle.

Quale percezione di WALA hanno i dipendenti che vi lavorano?
WALA vede se stessa essenzialmente come una cooperazione, una comunità di persone che lavorano assieme alla quale ciascuno contribuisce con il proprio lavoro e questo per creare beni e valore per i nostri clienti. Per questo buona parte del profitto di WALA viene spartito tra i dipendenti che sono coloro che rendono possibile che WALA operi.

Come si svolge il processo decisionale in azienda?
Abbiamo una struttura gestionale piuttosto agile e snella, con un management suddiviso gerarchicamente in soli tre livelli. Ad esempio, per il progetto delle coltivazioni biodinamiche di rose in Afghanistan, è stato il responsabile delle materie prime che ha avuto per primo l’idea. Ne ha parlato con il suo capo, hanno valutato costi/benefici, etc. e poi insieme sono andati dal CEO ad esporgli il progetto. Lui ha detto: "Ok, procedete pure", e il progetto è partito.

In genere un progetto viene valutato in termini di costi/profitti e ritorno dell’investimento. I vostri criteri invece quali sono?
L’aspetto essenziale nel nostro caso, è la libertà di non dover rendere conto a nessuno al di fuori dell’azienda stessa. Dobbiamo preoccuparci unicamente dei nostri dipendenti e dei nostri clienti che ci pagano gli stipendi e rendono possibile il fatto che l’azienda possa vivere e che possa quindi soddisfare i loro bisogni. Un esempio: abbiamo avuto la libertà nel 2009, in un periodo di crisi, di non fare profitti in quell’anno per non licenziare nessuno dei nostri dipendenti. Le condizioni di libertà create dal modello aziendale basato sulla Fondazione rappresenta quindi un autentico valore, un capitale spirituale.

Che strada prende il surplus aziendale? Ovvero ciò che, frutto di miglioramenti tecnologici ed ottimizzazione di processi, rimane dopo aver pagato spese e aver finanziato ricerca e sviluppo?
Esiste una altra fondazione, la Fondazione Dott. Hauschka, che a differenza della Fondazione WALA che è profit, è non profit. Questa Fondazione è stata creata con parte del capitale iniziale che ha portato alla nascita di WALA GmbH, e svolge attività di ricerca nel campo della medicina antroposofica e altri ambiti ad essa collegati.

Quindi la Fondazione riceve come finanziamento il surplus di WALA GmbH?
No, la Fondazione Dott. Hauschka si autosostiene attraverso gli interessi che maturano sul capitale ricevuto con il conferimento iniziale. Il modello è dunque differente da quello di altre realtà come la Fondazione di Bosch o quella di Mahle[2], che ad esempio sostiene finanziariamente un Istituto terapeutico, la Filderklinik di Stoccarda.

Si tratta a suo avviso di un modello aziendale in espansione?
Indubbiamente, sono modelli aziendali che alla fine consentono ai dipendenti di partecipare ai profitti prodotti con il contributo di tutti. Un caso che ci riguarda da vicino: nel 2007 il dott. Schaette titolare dell’omonima azienda produttrice, con metodi antroposofici, di cibo e medicine per animali domestici ha deciso, essendo ormai piuttosto anziano, di non vendere la sua azienda ma di cederla alla Fondazione WALA ed oggi Dr. Schaette GmbH fa parte del gruppo WALA. Tuttavia è importante distinguere il nostro modello da altri simili. La sola presenza nella struttura aziendale di una Fondazione non vuol dire ancora nulla.

In che senso?
la Fondazione WALA, è bene sottolinearlo, non è assolutamente un espediente legale per pagare meno tasse o poter beneficiare di sgravi fiscali di qualche tipo. È una Fondazione profit e le sue tasse le paghe tutte. Essa rappresenta il tentativo di superare l’antagonismo tra lavoro e capitale. Karl Kossmann, fondatore della Fondazione WALA, diceva che ciascun dipendente si avvia a diventare un piccolo imprenditore all’interno dell’azienda.

Come si traduce quest’ultima affermazione riguardo al salario?
Il salario viene pagato all’inizio del mese, non lo consideriamo una compensazione ma ciò che consente al lavoratore di soddisfare i suoi bisogni e l’azienda ha fiducia nel fatto che lavorerà bene. Nel salario ci sono tre componenti: il primo consiste in quanto è dovuto per legge e ne rappresenta la base. La seconda invece dipende dalla funzione svolta dal lavoratore, chiaramente questa componente sarà diversa per il CEO che per un giardiniere. I lavoratori sono suddivisi in team, c’è un budget annuale per ciascun team e se questo lavora in modo efficiente, quanto risparmiato diventa benefit per i suoi componenti. La terza componente, è una componente cosiddetta sociale, ed è costituita da integrazioni per i figli, l’asilo, la scuola e altri benefit ancora. L’entità di queste integrazioni dipende dal reddito complessivo della famiglia del lavoratore.

I compensi dei dipendenti incidono sui prezzi finali. Come si bilancia il prezzo con la redistribuzione dei profitti in modo da arrivare alla definizione di un giusto prezzo?
La filosofia di base è che chiunque dovrebbe essere in grado di acquistare i nostri prodotti. Quando si acquista un prodotto WALA, con il prezzo pagato si finanziano anche qui tre componenti: la prima, è ovviamente quella legata alla materie prime presenti nel prodotto. Si tratta di sostanze il cui prezzo oscilla notevolmente sul mercato perché dipendono anche dai mercati esteri. Con l’aggravante che quando si necessita di un incremento della produzione è necessario coltivare dei campi e aspettare che le piante vi crescano! La seconda componente che si acquista è quella del know how insito nel prodotto. Attraverso di essa si coprono i costi della ricerca e del costante miglioramento della qualità dei nostri prodotti. Questo è il motivo per cui una crema in un supermercato qualsiasi costa 3€ e la nostra 18€: i nostri investimenti in ricerca si aggirano intorno al 7-8% del fatturato. Infine, la terza componente è quella sociale. Quando si compera un prodotto Dott. Hauschka o una medicina WALA, si compera anche una idea che, invisibile, sta dietro di essi. Ad esempio, il fatto che le nostre coltivazioni siano certificate DEMETER, il marchio che certifica i prodotti biodinamici che non impoveriscono la terra, oppure che in Burkina Faso il prezzo che paghiamo per il burro di karitè consente alle famiglie di mandare a scuola i propri figli. L’impegno nei confronti dei nostri fornitori è reale, i nostri progetti non sono un ulteriore esempio di green washing.

Potrebbe indicare forse la percentuale del prezzo che è destinata a ciascuna componente che ha citato?
Non è facile, non c’è una metrica precisa. Certo si guarda anche al mercato, abbiamo oltre 900 prodotti a catalogo, alcuni sono più remunerativi altri lo sono di meno. Per alcuni particolari medicinali le confezioni vendute in un anno non superano i 50 pezzi eppure hanno un costo accessibile. Si verifica dunque una compensazione, i prodotti profittevoli consentono di abbassare il costo di quelli che lo sono meno ma che risulta importante produrre per coloro che ne hanno bisogno.

Il passo che segue è stato preso da un articolo di Heidjer Reetz:
Se si superano gli ostacoli, innanzitutto nel pensiero grazie a dei "pionieri della prassi", e in seguito, per gradi, attraverso leggi democratiche, allora si mostrerà il volto vero dell’economia
Ritiene che aziende come WALA possano agire in qualità di "pionieri della prassi"? Quali norme il legislatore dovrebbe innanzitutto introdurre per rendere visibile il "volto vero" dell’economia?

Certo, io credo che noi siamo dei "pionieri della prassi" ma credo che sia molto importante quanto emerge dalla società civile, gli impulsi che essa fa emergere. Nel 2009 la crisi ha messo in evidenza i limiti delle stock corporation e un sacco di persone hanno iniziato ad interessarsi a modelli aziendali alternativi. In quel periodo le prime pagine di Die Zeit, Der Spiegel, Die Welt e altri ancora, erano dedicate a queste discussioni. Certo, il fondamento giuridico deve evolvere. Se l’impulso dalla società civile nei confronti di queste tematiche diventerà sempre più forte, allora la legislazione dovrà seguirla. Ad esempio se uno oggi in Germania volesse creare una azienda strutturata esattamente come la WALA non potrebbe perché nel frattempo la legislazione è cambiata. Eppure sono certo che qualcosa di simile si può fare ugualmente, come accaduto negli USA, in cui la legislazione è considerevolmente diversa da quella europea. WALA North America Inc. è infatti una società indipendente ma che annovera nel consiglio di amministrazione diverse persone di WALA GmbH. Questo caso è emblematico di come il modello societario di WALA sia difficile da trasferire in altri Paesi e a dire il vero sarebbe difficile da emulare così come è anche nella stessa Germania. Infatti essendo cambiata la legge tedesca sulle fondazioni, adesso non sarebbe più possibile partire con una fondazione come la nostra. Negli Stati Uniti Dr. Hauschka Inc. era proprietà di una coppia di coniugi che prima di andare in pensione (2008) hanno espresso il desiderio di configurare la società in modo simile a WALA. Abbiamo quindi mandato i nostri esperti negli USA per parlare con gli avvocati americani. Non è stato facile capirsi, gli avvocati americani non riuscivano a capire perché i coniugi volessero donare la proprietà dell’azienda per costituire una società non-profit che fosse a capo di una società for profit. La discussione è andata avanti per 4 mesi ma alla fine WALA North America è stata fondata secondo il modello di WALA GmbH in accordo con la legislazione americana.

Secondo i principi della tripartizione sociale, l’imprenditore è anche proprietario dell’impresa che dirige nel senso che egli la gestisce come se fosse "sua proprietà", senza limitazioni alle sue capacità imprenditoriali che possono quindi esprimersi completamente. Si tratta quindi di un concetto di proprietà privata analogo a quello ordinario, ma con qualche limitazione – ad esempio non può venderla e non può lasciarla in eredità. Nel modello di WALA, la proprietà di WALA GmbH non è del CEO ma della Fondazione WALA. Nello statuto della Fondazione WALA è scritto che essa ha diritto di voto nel consiglio di amministrazione di WALA GmbH. La domanda è dunque: le capacità imprenditoriali del CEO possono risultare limitate in qualche modo da una proprietà esterna sebbene formale? La Fondazione WALA ha mai rappresentato una limitazione alla libera imprenditorialità di WALA GmbH?
Effettivamente il CEO riporta alla Fondazione WALA ed ad essa compete l’approvazione di molte cose importanti – ad esempio il budget, il lancio di nuovi prodotti, etc.. Lo scopo della Fondazione è di far sì che lo sviluppo di WALA GmbH sia positivo e in accordo con i principi della Fondazione stessa. Quindi, in teoria, potrebbero esserci dei conflitti concettuali o di visione strategica tra il consiglio di amministrazione e la Fondazione WALA, ma questo non si è verificato negli ultimi decenni. Se ci siano stati poi dei conflitti in precedenza ancora non lo posso in effetti affermare.

Si è fatto tardi, usciamo, prima di ripartire Antal vuole farci vedere il giardino botanico che si trova nelle vicinanze. Camminiamo lungo sentieri che passano accanto a colture ordinatissime ma in pendenza, perché, come ci spiega Antal, ad Hauschka erano stati donati dei terreni ritenuti fino a quel momento poco produttivi poiché spesso imbevuti dell’acqua che fluisce dai fianchi della vicina collina. Ma già poco tempo dopo averli ricevuti, i terreni, lavorati con cura e trattati secondo i metodi biodinamici, divennero fruttuosi e fecondi. Passiamo vicino alle serre e a agli alveari, il lavorìo delle api, ci spiega Antal, è fondamentale per creare la giusta armonia tra natura e mondo umano.

Abbiamo appena salutato Antal, ci dirigiamo verso il parcheggio, il cielo è grigio e fa piuttosto freddo – ci sono appena pochi gradi sopra lo zero – eppure davvero qui si respira aria di primavera.

Aurelio Riccioli & Flavio Fabiani

Note:

[1] Società a responsabilità limitata. N.d.C.

[2] La Robert Bosch GmbH è un’azienda multinazionale tedesca, la maggiore produttrice mondiale di componenti per autovetture, che ha rapporti d’affari con pressoché la totalità delle aziende automobilistiche esistenti al mondo (da Wikipedia). Mahle GmbH, 5° azienda più importante del Württemberg, produce componentistica per l’industria automobilistica

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