Autore: Pietro Archiati
Editore: Kairos
Antroposofia

Tristano e Isotta – ovvero del mistero della fedeltà

Articolo tratto dalla Rivista Kairos

Volendo proseguire queste riflessioni sugli ‘incontri’, potremmo fare alcune considerazione sul mistero della fedeltà. Tutti noi sappiamo cos’è la gioia della fedeltà, ma conosciamo anche il dolore che si prova quando questo impegno interiore viene meno e conosciamo la penosa incertezza che ingenera un rapporto che non appare saldo. Soffriamo però non meno del fatto che il moralismo tende sempre a fare della ‘fedeltà’ un ricatto, una prigione morale. Una certa inaffidabilità dei sentimenti e della volontà è molto diffusa nel nostro tempo e siamo spesso esposti alla variazione assoluta nei legami: sovente, per esempio, ci si sposa senza sapere veramente quanto potrà durare il matrimonio. Prima di entrare nel merito di questo importante aspetto della vita, vorrei narrare sinteticamente una delle più belle vicende letterarie dell’umanità medioevale, incentrata proprio sui misteri degli incontri karmici: il Tristano e Isotta di Goffredo di Strasburgo. Marco, nobile re di Cornovaglia, incarica il nipote Tristano di recarsi in Irlanda per prendere e poi condurre al castello la sua promessa sposa: la bella Isotta. Tristano va in Irlanda. La madre di Isotta – anche lei di nome Isotta – affida alla serva di sua figlia un filtro d’amore che avrà il potere di legare indissolubilmente l’uomo e la donna che lo berranno insieme: raccomanda perciò alla serva di prendersi cura che la magica pozione sia bevuta unicamente dal re Marco e da Isotta la sera delle nozze. La nave riparte verso la Cornovaglia e, durante una sosta, la serva scende per camminare un po’ sulla terraferma e Tristano e Isotta, rimasti soli e stanchi sulla nave, vedono la boccetta del filtro incustodita e, pensando che sia semplice vino, ne bevono per rifocillarsi. Come un fulmine, sorge tra di loro quell’attrazione invincibile che chiamiamo ‘innamoramento’: la forza che spinge i due giovani l’uno verso l’altra è irresistibile. Ma Isotta è, e rimane, la promessa sposa del re: agli occhi della società e delle leggi Isotta gli deve fedeltà. Il matrimonio ha luogo, e tutta la vicenda del poema ruota poi intorno a queste due realtà ugualmente oggettive: il diritto nuziale di Marco e la passione travolgente fra Tristano e Isotta. I due giovani cercano di rimanere fedeli ad ambedue le realtà: sono sinceramente consapevoli dei loro doveri sociali verso il re e il regno e perciò li assolvono; altrettanto devono render conto al loro amore, che li afferra come una legge di natura non meno reale e forte delle leggi della società. Segue perciò da una parte la narrazione dei tanti sotterfugi notturni che Tristano e Isotta architettano per incontrarsi, delle tante prove che si danno reciprocamente della forza benefica del loro amore; dall’altra si narra il comportamento leale di Tristano come cavaliere del re e la dedizione di Isotta al suo ruolo di regina. Ben presto giungono voci all’orecchio di Marco sull’infedeltà della moglie, anche se nessuno è in grado di fornirgli prove concrete del tradimento: abbiamo allora uno dei momenti più significativi del poema. Il concilio dei vescovi ricorre alla cerimonia del giudizio divino: l’accusata, dopo un periodo di quarantena, dovrà presentarsi di fronte al consesso dei vescovi e dei dignitari di corte e dichiarare sotto giuramento la sua innocenza; poi dovrà prendere in mano un ferro rovente e, se avrà detto il vero, il mondo spirituale farà in modo che ella non si bruci. Isotta, dal luogo del suo isolamento, fa pervenire a Tristano una lettera dove gli dice di farsi trovare, nel giorno del giudizio e travestito da pellegrino, sulla riva dove approderà la nave che dovrà condurla all’appuntamento per la cerimonia. Giunto il giorno fatidico, Isotta arriva sulla sponda e ordina, visto che è ancora in quarantena, che sia solo quel santo pellegrino a toccarla per aiutarla a scendere dalla nave. Tristano, irriconoscibile, prende fra le braccia Isotta per portarla a terra: in quei pochi istanti lei lo prega di cadere, giunto a riva, fingendosi provato dallo sforzo; nella caduta, si ritrovano abbracciati l’una all’altro. Il piccolo incidente non viene colto da nessuno nella sua rilevanza. Si arriva al giudizio divino: rivolta al re Marco, presente accanto ai vescovi, Isotta giura: ‘Nessun uomo al mondo ha conosciuto il mio corpo o ha giaciuto fra le mie braccia o al mio fianco all’infuori di voi, o Re, e di colui per cui non posso né giurare né negare, voglio dire quel povero pellegrino fra le cui braccia m’avete veduta con i vostri stessi occhi’. Prende quindi il ferro rovente e lo solleva senza esserne bruciata. Rassicurato Marco, Isotta torna alla reggia: ricomincia l’affanno per i due amanti che devono incontrarsi sempre di nascosto fino a che Tristano, dopo alterne vicende e ostacoli, parte per la Spagna, la Normandia e la Bretagna dove combatte da valoroso finché, nella terra di Arundel, incontra un’altra fanciulla di nome Isotta. La lontananza dalla bella regina che non lo manda a cercare fa dubitare il cuore di Tristano che, pur struggendosi d’amore per lei, sposa infelicemente l’altra Isotta. Infine, Tristano viene ferito da una freccia avvelenata e sa che soltanto la sua amata Isotta potrà guarirlo: la manda a chiamare, ma lei, a causa di una tempesta, non arriva in tempo per curarlo col suo amore; credendosi abbandonato e dimenticato, Tristano muore. Isotta arriva e lo trova già morto: gli si stende accanto, si stringe a lui e muore di dolore. Molta critica letteraria ha ritenuto questo poema come un’opera incompiuta perché sembra disarmonico all’intreccio un epilogo che vede morire Tristano col cuore sospeso e ancora pieno di domande. Invece, la bellezza e la modernità di questo capolavoro stanno proprio nell’annuncio che dà delle problematiche che forgeranno l’anima cosciente: Goffredo di Strasburgo vuol proprio dire che non c’è modo, in una sola vita, di pareggiare e risolvere tutti i legami karmici. Se, infatti, si dà per scontato che l’essere umano vive una volta sola è molto difficile capire il significato della ‘fedeltà’, anzi è impossibile: sorgono delle contraddizioni insolubili quando, pur sapendo di avere delle responsabilità ben precise verso nostro marito o nostra moglie, vediamo sorgere nuovi legami non meno importanti. Quante persone, pur essendo sposate o comunque impegnate in un rapporto di coppia, si innamorano di qualcun altro! E che cos’è l’innamoramento? L’immagine del filtro magico che Giovanni di Strasburgo ci dà è un modo artisticamente perfetto per descriverlo: l’innamoramento parla il linguaggio perentorio del karma, sfonda le porte della coscienza per evidenziare che quell’essere umano che ci suscita un tale sconvolgimento interiore è legato a noi da lungo, lungo tempo. L’innamoramento è la pozione magica, l’incantesimo della necessità perché parla del passato karmico e come tale ha una potenza inerziale fortissima: per questo, quando il tempo spegne un po’ la passione e comincia ad emergere, magari tra difficoltà e fatiche, che cosa il nostro Io superiore vuole realizzare come karma futuro insieme a quella persona, spesso tutto si rompe e non ce la facciamo a sostenere la libertà. Tutto ciò che ci viene incontro sotto l’aspetto della necessità chiede di essere liberato: e solo l’Io, lo spirito, può essere sovrano sulle pulsioni dell’anima e può imprimere forze di metamorfosi e di evoluzione. Ad aumentare la confusione in queste situazioni di vita contribuiscono anche le consuetudini di popolo, le regole sociali: presso i popoli latini, per esempio, il matrimonio ha ancora un carattere di vincolo assolutizzante che spesso impedisce la cura di altri rapporti essenziali e li mortifica nella loro importanza. Al contempo, il carattere materialistico della nostra epoca e l’identificazione che si fa tra l’essere umano e il suo corpo fisico, fanno sì che si tenda ad interpretare come basilare per la pienezza di un rapporto la dimensione corporeo-fisica. Il karma, invece, non fa graduatorie e per questo il responso divino dà ragione a Isotta: quando un essere umano bussa alla porta della nostra esistenza ha sempre il diritto di farlo. La brevità della vita, d’altra parte, non consente di vivere con la stessa profondità tutti i rapporti karmici che si presentano: l’uomo muore incompiuto e pieno di domande, come Tristano. Sta allora alla nostra consapevolezza operare delle scelte preferenziali e possiamo farlo solo nella prospettiva reincarnatoria. Queste scelte non comportano naturalmente l’esclusione totale di alcuni esseri umani che pure incontriamo nella nostra esistenza, ma la possibilità di sapere che i rapporti che mettiamo oggi in secondo piano potranno domani, in un’altra vita, essere in primo piano. Nuovi pensieri si affacciano alla mente umana e si può con coraggio imparare una nuova fedeltà, molto più profonda e longanime: una fedeltà capace di andare da una vita all’altra. Noi dobbiamo imparare a fondare moralmente non solo i rapporti che accogliamo, ma anche quelli che evitiamo; perché non potremmo mai permetterci di chiudere una porta, soprattutto quando c’è di mezzo la forza dell’innamoramento, senza dire all’altro e a se stessi: certo che noi ci apparteniamo, ma per questa vita non sarebbe armonico renderci unici l’uno per l’altra (2). Il karma e la reincarnazione, se compresi, ci portano via l’insoddisfazione e l’impazienza e ci rendono capaci di aspettare addirittura una vita intera: essi sono la pianificazione a lunga scadenza dell’evoluzione nostra, mentre i progetti a scadenza corta sono disumani. L’essere umano stesso, infatti, è a lunga scadenza perché ha a disposizione millenni davanti a sé. Riconoscere la reciproca appartenenza karmica apre anche nuove prospettive nella direzione opposta: quando cioè vorremmo chiudere un rapporto che si mostra non più costruttivo e, anzi, vorremmo proprio sbarazzarcene. Ma dal karma non può uscire mai nessuno: il massimo possibile è darsi un po’ di distanza fisica, su questa Terra. Ma ciò trova la sua ragione nell’intento di continuare il rapporto, non di terminarlo. Spiritualmente si resta uniti. Una persona che appartiene a me karmicamente mi apparterrà sempre: e se io ometto di compiere ciò che il mio Io superiore si era ripromesso ancor prima della nascita, questa persona ritornerà a me nella prossima vita, rincarando la dose, perché è fuori tempo e sarà ancora più difficile. Quindi il pensiero di poter ‘togliere di mezzo’ una persona è illusorio: la incontrerò sempre, vita dopo vita. Una delle leggi fondamentali del karma e della reincarnazione è che persone sempre nuove, che non abbiamo mai incontrato nelle vite precedenti, possono entrare nel nostro karma, ma che nessuna mai ne può uscire. A questo proposito Rudolf Steiner ha diverse volte indicato come si fa a capire se una persona entra a nuovo nel nostro karma: questa persona, di norma, non la incontriamo e non la notiamo direttamente, ma ce la presenta un amico, o comunque una persona che già conosciamo. I nuovi incontri karmici avvengono tramite i rapporti già esistenti. La direzione globale dell’evoluzione è quella di ‘rimembrare’ gli esseri umani, di reinserirli tutti gli uni dentro agli altri. La prima metà dell’evoluzione ha smembrato Dioniso e Osiride per rendere ogni essere umano capace di autonomia e di individuazione: ma la seconda parte è in chiave di amore perché tutta l’umanità va verso la costruzione del corpo mistico del Cristo.

NOTE: (1) – Pietro Archiati è nato nel 1944 in provincia di Brescia. Dal 1985 vive in Germania e si dedica alla scienza dello spirito tenendo corsi, seminari e conferenze in molti paesi del mondo. E’ autore di numerosi libri.
(2) – Importantissima in questa prospettiva anche l’opera di Goethe “Le affinità elettive”.