Autore: Enrica Ligi
Editore: Kairos
Medicina e Salute

Pensieri sull’autismo

Se osserviamo un neonato durante i suoi primi periodi di vita, possiamo cogliere lo svolgersi di un lento processo di "apertura" nei confronti del mondo esterno. Il bambino piccolo si apre gradualmente e lentamente alla realtà che lo circonda. Viene sapientemente protetto da un urto troppo duro con essa. Il sonno in cui passa gran parte dei primi mesi di vita è il custode più saggio di quell’individualità che a poco a poco dovrà schiudersi al mondo. Il bambino in questa fase è tutta vita e completa assenza di coscienza. Le reazioni al mondo esterno sono dettate solo dalla potenza delle necessità fisiologiche. Il mondo esterno comincerà ad essere accolto a poco a poco. Esso dovrà essere sperimentato buono e protettivo. La percezione di queste caratteristiche dovrà far si che nell’anima del bambino si evochino sensazioni prima, e rappresentazioni poi, rassicuranti e incoraggianti l’anima stessa a farsi strada nel suo delicato percorso evolutivo.
In questo primordiale stadio, il bambino è completamente inconscio a se stesso. E’, ma non sa ancora di essere. E’ centrato sulle sue sensazioni, ma non sa ancora che sono le "sue" sensazioni. Questa condizione, del tutto normale per un neonato, è una condizione autistica. E’ un autismo primario, del tutto normale. Se questa condizione però viene rigidamente mantenuta, dislocandosi quindi nel tempo, ci troveremo di fronte ad un autismo patologico.
L’esperienza che si ha di fronte ad un bambino autistico è infatti proprio quella di essere al cospetto di un potentissimo trattenimento evolutivo, di una disperata ostinazione alla chiusura nei confronti del mondo. Il processo di apertura che sarebbe dovuto avvenire grazie allo schiudersi degli organi sensori, vede questi ultimi indifferenti al mondo che "chiede" di essere percepito.
I genitori, i terapeuti, gli insegnanti che si prodigano in amorevoli tentativi per aprire degli spiragli in questa chiusura, conoscono bene il vissuto di impotenza e di frustrazione che deriva dall’impossibilità di trovare risposta alle loro sollecitazioni in uno sguardo o in un sorriso da parte del bambino.
Ma se questa è l’esperienza che si ha "di fronte" al bambino autistico, qual è l’"esperienza umana" che si ha nell’"essere", o meglio, nell’esistere autistico? Qual è la potenza anancastica che determina questa chiusura?
Penetrare la dimensione terrestre per l’essere umano presuppone un equipaggiamento in grado di sostenere tale esperienza. L’armonico rapporto tra Io-corpo astrale-corpo eterico e corpo fisico è fondamentale per l’esplicarsi delle rispettive funzioni che ognuno dei quattro elementi costitutivi deve svolgere.
In tutte le gravi patologie psichiche è il corpo fisico ad essere compromesso e nel caso dell’autismo lo è essenzialmente nella predominanza dell’attività del polo inferiore che, come vedremo più avanti costringe ad un ritiro l’attività neurosensoria, con tutte le conseguenze che da questo ritiro poi derivano.
A livello del corpo fisico avviene la percezione. Essa è l’avvio del prezioso processo conoscitivo che permette l’attivazione della rappresentazione e del concetto che avvengono rispettivamente a livello del corpo astrale, la prima, e a livello dell’Io il secondo.
Questo avvio però nel bambino autistico non riesce a svolgersi per una eccessiva reattività all’esperienza percettiva stessa, che invece di favorire un procedere evolutivo lo inibisce sul nascere per l’insostenibile intensità dell’esperienza.
Nella quarta conferenza del "Corso di pedagogia curativa", Steiner spiega dettagliatamente in che modo un tale processo possa verificarsi e definisce questa condizione "alienazione isterica", distinguendola ovviamente da qualsiasi implicazione che sottenda il frainteindimento di una vita sessuale.

Vediamone alcuni passi estremamente esplicativi:

"Ci si può presentare un organo la cui superficie anziché trattenere l’organizzazione dell’io e del corpo astrale (situazione presente invece nelle convulsioni e negli stati epilettici -n.d.a.) è troppo permeabile, un organo che in un certo senso non li trattiene abbastanza dentro di sé per il proprio consumo, per cui qui l’astralità accompagnata dall’organizzazone dell’Io non si ingorga, al contrario scorre con facilità fuori dall’organo. …Andiamo a vedere che cosa ci si presenta in realtà. Il bambino afferra il mondo esterno, intensamente. Afferra lo stato di equilibrio con l’elemento liquido, con l’aria, le differenziazioni entro l’elemento del calore, le differenziazioni nella luce, nel chimismo, nella vita universale generale: afferra tutto ciò in modo troppo forte, non in modo troppo debole, afferra ogni cosa in modo molto più intenso di quanto sia possibile in un bambino cosiddetto normale. … Si immagini di avere sulla pelle un’escoriazione e di afferrare un oggetto con una superficie ferita, escoriata, dove si è sensibili. In questa zona si è sensibili perchè con il corpo astrale si arriva con troppa intensità dall’interno a contatto con il mondo esterno.
A questo riguardo abbiamo descrizioni che sfociano in senso ben preciso nella vita, descrizioni di bambini che vogliono fare qualcosa, ma avvertono dolore e non lo possono fare. Anziché riversare la vita animica nell’azione essi hanno un’esperienza interiore di un’intensità tremenda da cui si ritraggono. Indietreggiano di fronte a se stessi: Può anche trattarsi non di un’azione vera e propria, ma di un’azione camuffata che si svolge nella vita di rappresentazione, poiché la volontà esiste anche qui. Può allora succedere che in determinate forme di malattia le rappresentazioni che devono svilupparsi già sul nascere generino paura nel bambino e non possano quindi formarsi".

Possiamo dunque, grazie a queste preziosissime osservazioni di Rudolf Steiner, farci un’immagine di quel movimento di ritiro dal mondo, a cui è necessariamente costretto l’essere che presenta questo "sporgere" eccessivo da parte del corpo astrale e dell’organizzazione dell’Io al di fuori dell’organo fin dai primi periodi di vita. La natura di questo ritiro è una coscienza eccessiva del mondo, dunque dolore. Un dolore che impedisce di poter intraprendere e proseguire nel processo evolutivo, costringendo l’anima ad un continuo evitamento del mondo.

Ora, pur considerando che esiste un continuum in cui si possono osservare estremi di gravità della malattia e tratti più lievi della stessa, quello che è il fondamentale elemento deficitario si manifesta ovviamente sul piano della coscienza dell’Io.

La vasta letteratura psico-medico-pedagogica di stampo accademico dedicata all’autismo è spesso disorientante per tutte le distinzioni che sono state fatte in merito alle varie manifestazioni di questa patologia. La descrizione ufficiale della sindrome autistica, fu fatta da Kanner nel 1943. Da allora in poi si sono intensificate sempre più le ricerche da parte della neuropsichiatria, neurologia, neurobiologia, biochimica etc. etc., per arrivare a comprendere le "cause" dell’autismo.
Sono state molte le piste seguite, da quella più strettamente psicodinamica che ipotizzava una cattiva relazione madre-bambino, a quella più di ordine genetico, o neuropatologico da deficit cerebrale e neurochimico e via di seguito.
Non vogliamo in questa sede commentare i criteri d’indagine utilizzati nel portare avanti queste ricerche né tanto meno il pensiero che ovviamente li sottende ma sentiamo il dovere, ancora una volta, di sottolineare che, se non vi è alla base una vera conoscenza dell’essere umano, sarà molto difficile che si riesca a comprendere davvero il profondo significato (le "cause") dell’esperienza appunto umana dell’autismo e ciò che è peggio è che questo modo di "ricercare" diventa sempre più pericoloso proprio nei confronti di coloro che ne dovrebbero "beneficiare".

A tale riguardo, rimaniamo infatti molto perplessi di fronte ad una "tecnica" che viene sempre più utilizzata (da qualche anno anche in Italia) per poter far comunicare attraverso il linguaggio scritto le persone colpite da autismo. Questa tecnica che viene definita "Comunicazione Facilitata"(entrata nel linguaggio specialistico con la sigla C.F.), è stata sperimentata inizialmente in Australia, Stati Uniti e Danimarca. Lontanissima dalla più minima considerazione pedagogica nonché da una vera conoscenza dell’essere umano, questa tecnica "facilita" la persona autistica nell’espressione scritta attraverso il mezzo meccanico della macchina da scrivere o elettronico del computer.

La C.F. è stata così descritta da Jane Remington Guney (tra i maggiori esperti in materia) all’Assemblea sui problemi dell’Autismo, tenuta nel 1994 nella sede parigina dell’UNESCO:
"La C.F. è una strategia che permette ad alcune persone, altrimenti impossibilitate a farlo, di comunicare, indicando con il dito indice della mano, mediante l’aiuto di un "facilitatore" che regge loro la mano e il polso per impedire i movimenti convulsi e involontari del braccio".

Se la cosa si risolvesse solo nella presenza di un "facilitatore", che in realtà fungerebbe da Io ausiliario del soggetto autistico, non si potrebbe che accogliere positivamente questa strategia che preferiremmo, in verità, definire dedizione di un essere verso un altro essere che si trova in difficoltà. Il problema è che nella C.F. la facilitazione è nei confronti dell’uso di uno strumento appartenente al mondo meccanico, il più lontano ed estraneo all’anima, ma l’unico comprensibile ad un pensiero meccanicistico dell’uomo che non si sforza minimamente di sviluppare la capacità di ascoltare e comprendere gli innumerevoli linguaggi di cui l’anima è capace, anche nelle condizioni esistenziali più dolorosec.