Autore: Maurizio Tomasi
Antroposofia

Il gesto di Breuer

PRESENTAZIONE
Questo testo è nato dalle attività di studio e ricerca pedagogica condotte dal Collegio della Scuola Rudolf Steiner di Origlio – Lugano.
In seguito alla lettura in Collegio del testo di Steiner riportato all’inizio dell’articolo è sorta l’esigenza di sapere chi fosse l’”eccezionale medico di famiglia” che diede fiducia a Steiner nella sua attività di precettore: una breve ricerca permise di appurare che si trattava di Joseph Breuer e di accostarsi ad alcune note biografiche su di lui.
Il personaggio è molto noto ai cultori della psicanalisi, ma di solito viene trattato come un ostacolatore più che come un promotore e la descrizione della sua figura risente molto delle ombre negative che pesarono successivamente sul suo rapporto con Sigmund Freud: riteniamo invece che, con tutti i suoi limiti, Breuer fosse persona attenta e aperta e che il suo effettivo ruolo vada rivalutato e messo in giusta luce.
In questo senso aiuta quel che di lui dice Steiner, argomento che non viene preso in considerazione dalla storiografia più diffusa e accreditata.
L’articolo che qui segue è già stato pubblicato due volte sui bollettini delle scuole steineriane di Lugano e di Trento, trovando interesse e riscontri positivi: l’autore sarà lieto di prendere in considerazione il parere di quanti volessero esprimerlo.

“Dall’età di quattordici o quindici anni in poi, semplicemente per poter vivere, io dovetti sempre dare lezioni private; dovetti quindi elaborarmi questa pedagogia nella pratica immediata dell’insegnamento e dell’educazione. Per esempio, quando ancora avevo ventun anni una famiglia mi affidò l’educazione di quattro ragazzi. Fra questi, quando entrai in quella famiglia come precettore, ve n’era uno di undici anni, idrocefalo al massimo grado. Egli aveva delle stranissime peculiarità. Non mangiava volentieri a tavola con gli altri, ma si alzava da tavola e andava in cucina dove era la pattumiera, e lì mangiava le bucce delle patate, pure con la sporcizia contenuta nel recipiente. A undici anni, ancora non sapeva quasi nulla. La famiglia aveva cercato, in base all’istruzione che egli aveva avuto in precedenza, di fargli dare l’esame di ammissione ad una qualche classe elementare. Ma quando egli aveva presentato i suoi esperimenti, vi era soltanto un quaderno con un grosso buco provocato da una sua cancellatura. All’esame egli non aveva fatto altro, e contava già undici anni. I genitori se ne angosciavano. Essi appartenevano alla buona borghesia, e tutti dicevano: “Il ragazzo è anormale; s’intende che tutti, in un caso simile, si sentono prevenuti contro un ragazzo di cui si parla così. Dicevano: “Bisogna che impari un lavoro manuale, non può arrivare ad altro!” Entrai dunque in quella famiglia, ma veramente nessuno mi comprese quando esposi il mio proposito: “Se mi si affida il ragazzo in piena responsabilità, prometto di tirare fuori tutto quanto c’è in lui”: Nessuno mi capì, eccetto la madre, per naturale capacità di vedere, e l’eccezionale medico di casa. Era lo stesso medico che più tardi, col dottor Freud, fondò la psicoanalisi, nel periodo in cui questa si trovava ancora nel suo periodo migliore, in seguito, quando essa cominciò a decadere, egli se ne staccò. Tuttavia, con lui si poteva parlare, e questo ebbe per conseguenza che il ragazzo venne educato ed istruito da me.”
(Rudolf Steiner, “Importanza della conoscenza dell’uomo per la pedagogia e della pedagogia per la cultura”, V conferenza, Arnheim, luglio 1924)

Nel collegio del 29 agosto ci è stata portata incontro, grazie alla maestra Zardo, la figura di Josef Breuer.

Josef Breuer fu una stimata figura di medico della fine del secolo XIX, nella capitale dell’Austria Ungheria. Fu medico delle famiglie della migliore borghesia della città, e le sue ricerche originali lo portarono a diventare Membro Corrispondente dell‘Accademia delle Scienze, esclusiva istituzione dell’establishment scientifico imperial-regio.
Breuer, come anche Steiner dice, è figura importante nel sorgere della psicanalisi: a lui infatti va ascritta la scoperta del metodo di terapia basata sulla sola parola, metodo che egli scoperse curando una sua paziente ammalata di quella “strana malattia” che alla fine dell’800 veniva chiamata isteria. Le idee sulla eziologia e la possibile terapia dell’isteria, nonché sulla sua natura erano allora controverse e oggetto di dibattito.
Fu il clinico parigino Charcot, primario dell’ospedale psichiatrico della Salpetrière, a avanzare per primo l’idea che i sintomi isterici non fossero di natura organica e neanche simulazioni del paziente, ma difetti di funzione.
Freud, giovane e ambizioso medico, a cui era preclusa la carriera universitaria in quanto ebreo, e quindi “costretto” a occuparsi di casi al di fuori della “normalità” scientifica dell’epoca, passò un periodo di studio e ricerca presso Charcot, e ne condivise le idee sull’isteria, nonché le possibilità di terapia, fondate allora sull’ipnosi.
Tornato a Vienna, Freud intraprese a curare alcuni suoi pazienti, oltre che con l’ipnosi, con la cocaina, sostanza appena prodotta da una casa farmaceutica tedesca, di cui si ignorava la capacità di dare dipendenza: un caro amico di Freud, che lui aveva curato con quel sistema, divenne tossicomane e alla fine morì, con grave scandalo nel mondo medico viennese: Freud rischiò di essere messo al bando per sempre.
Fu in quel periodo che conobbe Josef Breuer, a causa del comune interesse per l’ipnosi, e Breuer, di una decina d’anni più vecchio, divenne il protettore di Freud nell’ambito scientifico, permettendogli di superare lo scandalo e continuare a occuparsi di pazienti che presentavano sintomi isterici.
Nella sua qualità di medico della famiglia Pappenheim, Breuer aveva in cura una giovane donna, di notevoli capacità e doti, ma che presentava sintomi totalmente inabilitanti, di supposta natura isterica: per giorni stava senza bere nulla, a volte le si paralizzava totalmente un lato del corpo, passava da periodi di totale confusione ad altri di perfetta lucidità senza una causa apparente. In seguito all’aggravarsi dei sintomi legata alla morte del padre della giovane, Breuer tentò di curare Berta (questo il suo nome; più tardi divenne quello di una delle più note femministe dell’epoca a cui la Repubblica Austriaca dedicò anche un francobollo) mediante l’ipnosi, ma grazie allo stretto rapporto che stabilì con Berta a causa della terapia, questa cominciò a parlargli liberamente di tutte le sue paure e angosce, e Breuer notò che in seguito a questi colloqui, i sintomi diminuivano o addirittura sparivano. Fu Berta stessa a definire questi colloqui la “sua cura spazzacamino”.
Breuer, perspicacemente, sospese il trattamento ipnotico, e incoraggiò Berta a parlare sempre più liberamente.
La cosa funzionò perfettamente fino a quando Berta non manifestò chiari segni di innamoramento nei confronti di Breuer e, pare, anche di attrazione sessuale.
Breuer, possiamo capirlo in un uomo della sua posizione e di quell’epoca, si spaventò grandemente di questo e interruppe bruscamente le visite a Berta, comunicando con un biglietto alla famiglia la sua decisione di assentarsi da Vienna per parecchio tempo, in compagnia della moglie.
Berta a questa notizia reagì inscenando un parto isterico, e tutti i suoi sintomi ritornarono allo stato iniziale.
Tuttavia Breuer non ritornò sulla sua decisione, e lasciò Berta al suo destino, che la portò, malgrado un sostanziale miglioramento che le permise di dedicarsi all’attività sociale a favore delle donne, a numerosi ricoveri in cliniche e a restare sempre in qualche modo “malata” per tutta la vita.
Da quanto ho letto, non sono riuscito ad appurare se anche Freud ebbe in cura Berta, ma quel che è certo è che Breuer parlò all’amico del caso in tutti i dettagli, e da quanto Breuer gli disse, Freud trasse due conclusioni fondamentali, per la psicanalisi: che la parola può curare, e la coscienza del paziente non va in nessun modo messa fuori causa, come fino ad allora si faceva con l’ipnosi; e che il fenomeno di innamoramento, oltre che inevitabile, era una forza su cui il terapeuta doveva contare: più tardi prenderà il nome di transfert.
Freud riferirà di queste esperienze e delle sue conclusioni, negli Studi sull’isteria, del 1895, in cui chiamerà Berta Pappenheim col nome fittizio di Anna O. : il caso clinico di Anna O. viene universalmente considerato il caso fondante del metodo psicanalitico.
Da quanto detto (questa è la versione “ufficiale” dei fatti, in gran parte derivata dalla biografia di Freud dal titolo Vita e opere di Sigmund Freud, scritta dall’allievo Ernst Jones, noto più per la sua ortodossia intransigente che per la sua capacità terapeutica), risulta chiaro il ruolo di Breuer come scopritore di due fenomeni fondamentali, ma anche la sua incapacità a andare oltre la sua cultura e a inquadrarli in una nuova concezione: pare infatti che l’importanza che Freud attribuiva al transfert, fu causa della rottura tra i due amici, avvenuta poco tempo dopo i fatti citati.

Consideriamo ora quanto ci dice Steiner nel passo che la maestra Zardo ci ha letto, riguardo al ruolo di Breuer nell’incoraggiarlo nella sua funzione di pedagogo nei confronti del ragazzo idrocefalo. Aggiungiamo che forse non siamo lontani dal vero supponendo che Breuer non fu del tutto estraneo al fatto di mettere in contatto la famiglia del ragazzo idrocefalo con Steiner, allora giovane filosofo e pedagogo, noto per gli studi su Goethe, ma anch’egli, come Freud, un po’ “fuoricentro” rispetto alle concezioni scientifiche dell’epoca.
Possiamo quindi dire che Breuer ha formulato la domanda a cui Steiner doveva rispondere, con la coscienza che lui stesso non sarebbe stato in grado di farlo con gli strumenti culturali a sua disposizione: era necessario cambiare la concezione pedagogica fino ad allora praticata, Breuer ha corso questo rischio, con apertura e coraggio, affidando o sostenendo Steiner nella sua opera.
Da queste due vicende credo si possa evidenziare quello che è il destino di Breuer: portare incontro a degli innovatori compiti che generano l’esperienza da cui nascerà l’innovazione culturale. Questo il suo gesto: capire che certi casi non sono risolvibili con quanto è noto fino a quel momento, avere la speranza che una innovazione possa risolvere il caso enigmatico, capire che bisogna avere fiducia in persone che presentano caratteristiche magari opinabili per le concezioni correnti, ma con doti indubbie di capacità di innovazione, ritirarsi dopo aver affidato il compito, col risultato di lasciare l’innovatore totalmente libero di sviluppare le nuove concezioni.
Il ruolo di Steiner e di Freud e quello di Breuer sono entrambi indispensabili, per la nascita e lo sviluppo di una innovazione culturale.

Tutto questo, non solo per dare a Breuer tutto quel che gli spetta, ma anche per trarne conseguenze per il nostro lavoro.
Se consideriamo che una innovazione, una crescita, uno sviluppo è possibile solo a partire da un compito che genera esperienza, ecco che il gesto di Breuer, diventa il gesto tipico del pedagogo.
La differenza tra la scuola Waldorf e le altre proposte pedagogiche della nostra epoca sta, in gran parte, in questo diverso atteggiamento del maestro: nelle altre scuole il maestro mette l’accento sulla continuità con la sua concezione del mondo, i suoi strumenti intellettuali, li trasmette così come sono, e controlla poi attentamente, fino alla sanzione, se l’allievo riproduce con la massima fedeltà quanto lui ha trasmesso: è chiaro che un atteggiamento innovativo, con simili posizioni, viene del tutto scoraggiato, se non addirittura sanzionato, a favore del conformismo culturale, e l’eventuale persistere dell’atteggiamento innovativo, può trovare spazio di affermazione solo in un rapporto di scontro, di conflitto, con l’Autorità.
Nelle scuole Waldorf, invece, il riconoscimento della importanza della innovazione culturale come atteggiamento indispensabile nel nostro mondo, e la conoscenza della legge spirituale per cui l’innovazione si dà solo in seguito a un compito che genera esperienza, dovrebbe portare il maestro a sottolineare tutti gli elementi di novità che l’allievo mette nella esecuzione del compito, e fare sorgere in lui la coscienza di quanto di nuovo ha guadagnato in questa attività.
Insomma, mutatis mutandis considerando la situazione evolutiva e fatte le debite proporzioni, i maestri dovrebbero essere tutti dei Breuer, e coltivare la coscienza che gli allievi sono tutti degli Steiner e dei Freud.
La cosa, detta così, può sembrare paradossale: non tutti hanno la forza interiore di Steiner o di Freud, anzi possiamo dire che quelli sono casi eccezionali nella storia della umanità.
Ma se riflettiamo che anche Steiner e Freud non si sono potuti sottrarre alla legge del compito che genera esperienza, allora, la cosa assume la sua giusta proporzione e getta ampia luce sul rapporto pedagogico: in ciò che l’allievo genera nella sua risoluzione del compito, il maestro sottolineerà non tanto la fedeltà alle sue personali posizioni, ma quanto gli allievi hanno messo di innovativo, e li spingerà a coltivare questa dote di produrre del nuovo.
La legge spirituale della innovazione, si spiegherà appieno solo tra adulti pienamente coscienti.
Più si va indietro nell’età evolutiva, più il maestro avrà a che fare solo con dei germi di questa legge, ma come tutti i germi, se questi non vengono riconosciuti, protetti e adeguatamente coltivati, non daranno frutti. Nel prosieguo dello sviluppo del ragazzo, si arriverà sempre più vicino al pieno riconoscimento dell’atteggiamento di Breuer, che si ritira a favore dei Freud e degli Steiner: così, il ruolo normativo del maestro andrà sempre più diminuendo, passando dalle elementari alle superiori, fino a quando, alla fine della dodicesima, consegnerà in tutto e per tutto la domanda, con i limiti delle risposte che lui sa dare, all’allievo, ritirandosi totalmente, nella piena fiducia che l’innovazione sorgerà dall’allievo, per necessità di legge spirituale.
Gli Steiner e i Freud sono giganti, che da par loro hanno innovato radicalmente la cultura umana, ma nessuno di noi, anche nel più semplice gesto quotidiano, non può non riconoscere quanto sia indispensabile trovare nuove forme culturali adatte alla risoluzione dei problemi fino ad oggi rimasti insoluti. Il giusto atteggiamento di innovazione, sorgerà solo se lo si sarà coltivato con attenzione durante gli anni dello sviluppo: si può essere innovatori, solo se si sono fatte esperienze in relazione a compiti, posti in seguito a una domanda, e assumendoci la piena responsabilità e libertà di trovare una risposta.

Nota: in questa prima stesura potrebbe sembrare che l’autore metta sullo stesso piano i contenuti portati avanti da Steiner e da Freud: non si cada in questo fraintendimento. Qui si voleva mettere in luce solamente l’aspetto innovativo delle due posizioni, che, entrambe, ma con ben diverso peso e destino, hanno rappresentato una svolta importante della cultura dell’Occidente.
Per una critica ai fondamenti gnoseologici della psicanalisi, vedi: Massimo Scaligero, La logica contro l’uomo, Roma, Tilopa. Le posizioni espresse da Scaligero sono condivise da chi ha steso questo testo.