Autore: Claudio Gregorat
Scritti di Claudio Gregorat

Anticipazioni goetheane all’analisi psichica

Il genio trae i motivi del suo agire dalle profondità e ricchezza del mondo spirituale, secondo un piano che deriva dal karma dell’umanità nel corso delle epoche. Per il progresso di essa intervengono individualità creatrici che introducono nella storia gli impulsi necessari al suo sviluppo. Una di queste è senz’altro Goethe, che si è mosso in varie direzioni. Per quanto strano possa sembrare, una di esse è l’apertura alla sfera di ricerca che più tardi conosceremo come “psicanalisi”.
Ed è sorprendente, sotto un certo aspetto, scoprire che i fondatori delle diverse scuole psicoterapeutiche: Freud, per la psicologia comportamentale; e Adler per quella individuale; Jung, per quella del profondo, facciano riferimento a Goethe, nel senso che trovano nel grande poeta, un precursore delle loro tesi. Difatti Freud, pur coi suoi principi teorici diversi, si rapportava spesso a Goethe. E così Adler e Jung ed anche quelli per la logoterapia e psicodramma, come Franck e Moreno, fanno spesso riferimento a Goethe.

L’interesse di Freud per Goethe ha, in fondo e spesso, motivazioni del tutto personali, che riflettono – cioé Freud vede riflesso – il suo personale rapporto col fratello minore Julius che morì otto mesi dopo, con quello di Goethe ed il fratellino più giovane, che morì anch’egli qualche tempo dopo. In una lettera all’amico W.Fliess, Freud scrive:
“…aver accolto mio fratello di un anno più giovane – e morto a pochi mesi – con desideri cattivi e con gelosia infantile: la sua morte ha lasciato in me il germe del rimorso”.
ponendo questa disposizione d’ animo accanto a quella di Goethe, quando in “Dalla mia vita. Poesia e verità” lo mette in rilievo con le parole:
“Io sono stato fortunato. Il destino mi ha tenuto in vita, benchè sia stato dato per morto, quando sono venuto al mondo. Ma il destino ha eliminato mio fratello, di modo che non ho avuto bisogno di spartire con lui l’amore della mamma”.
del resto suffragato dal fatto, riportato da Bettina Brentano, riferitole dalla madre di Goethe, sorpresa che Wolfgang non avesse pianto alla morte del fratellino.
Questo atteggiamento è stato rilevato non essere reale nei confronti di Goethe, poiché dal quarto al decimo anno di vita, dovette dividere l’amore materno col fratello minore. Quindi la conclusione dell’indagine di Freud corrisponde al suo caso personale e non quello di Goethe. Egli tenta di interpretare il senso del primissimo ricordo di Goethe, mediante i suoi metodi psicoanalitici.  Ma è lecita, ci si chiede, una simile interpretazione? O piuttosto corrisponde meglio ai suoi sentimenti nei confronti del fratellino, che in seguito verranno vissuti come <rimorso>?                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
Così pure l’episodio – raccontato all’inizio dell’autobiografia goethiana – del lancio fuori dalla finestra di vari suppellettili, come gioco per sé ed il pubblico di bambini della casa di fronte, viene interpretato da Freud appunto come “azione magica”, come un “ricordo di co
pertura” ,dove un episodio privo di significato si pone in relazione ad un altro molto significan
te e ma “represso”. In “Psicopatologia della vita quotidiana” parla della
“……tendenziosità dei nostri ricordi……..Perciò, visto che la loro sopravvivenza non è dovuta al contenuto, ma ad un nesso associativo tra questo contenuto ed un altro, rimosso, è giustificata la definizione di “ricordi di copertura” con cui io li designo”.
Nel 1930 a Freud venne assegnato il “premio Goethe” della città di Francoforte. Nello scritto come ringraziamento Freud disse:
“Io penso che Goethe, a differenza di tutti i nostri contemporanei , non avrebbe respinto di malanimo la psicoanalisi. Egli vi si era accostato in più di un luogo; aveva riconosciuto per intuizione diretta, molte cose che in seguito abbiamo potuto confermare; e parecchie concezioni, che hanno attirato su di noi, critiche e dileggi, sono accettate da lui come cosa ovvia”.
Comunque lo si voglia vedere, la figura di Goethe era sempre presente in Freud. Incoraggia-
va, ad esempio, i colleghi ad occuparsene e nella corrispondenza con loro vi sono ripetuti riferimenti a Goethe. Nell’opera<L’interpretazione dei sogni>, Freud – nel periodo di autoana
lisi – analizza un sogno nel quale Goethe aveva un ruolo importante. E così lo cita ancora in due diversi luoghi, benché di sfuggita.
O ancora in situazioni apparentemente banali, come ad esempio, il cofanetto dell’allora fidanzata Martha Bernays, entro il quale c’era il suo <soave ritratto>. Bene, ecco che tale cofanetto viene posto in relazione ad un altro cofanetto descritto nel <La nuova Melusina>,
– negli “Anni di noviziato di Wilhelm Meister” – affascinante fiaba fantastica – non troppo – imperniata sul mondo dei <Nani> – la Melusina era una nana – dei Draghi e dei Giganti, che sono figure astrali-eteriche realmente esistenti.
Ancora, essendo Freud e la moglie, assolutamente estranei ai piaceri grossolani e dedicati alla repressione degli istinti naturali, ecco che, in una lettera, Freud cita la scena <Fuori porta> dal I° Faust, nella quale Wagner respinge le volgarità dei popolani
    sviolinate, vocìo, schiocchi di bocce
    sono rumori che detesto.
    Fanno un baccano come indemoniati
    e dicono che questo
    è divertisti, che è cantare
Oppure quando nel 1902 si trova a Sorrento, e scrive una lettera alla famiglia iniziando con le parole di Goethe – la Ballata di Mignon dal “Noviziato di Wilhelm Meiste”:
        Conosci la terra dove fioriscono i limoni?
        (kennst du das Land wo di Citronen bluehen?)
Un altro argomento posto in rilievo è “la forza incomparabile dei primi legami affettivi dell’uomo”, come li chiama Freud, quindi motivo di sue indagini.  E a questo proposito cita proprio le parole di Goethe scritte in una lettera alla signora Charlotte von Stein, che inizia con le parole: “Perché ci desti sguardi così profondi”: e ancora: “Ah! tu in morti tempi lontani
fosti già mia sorella o mia sposa”.
E in una lettera di Goethe a Christoph Martin Wieland: “Posso spiegarmi l’importanza, il potere che questa donna ha su di me, solo con la trasmigrazione delle anime. Sì, un tempo eravamo marito e moglie!”. Era il periodo in cui Goethe si occupava della dottrina della “re-
incarnazione”. Così l’espressione :”morti tempi lontani” trova la sua giustificazione temporale
Più tardi, in una lettera a J.K.Lavater, si può leggere una diversa spiegazione del suo amore per la signora von Stein:
“Ella ha ereditato mia moglie, mia sorella e le mie amanti gradualmente, e si è intrecciata in un nastro come sono uniti i nastri della natura”.
Un ultimo caso: Freud osserva che Goethe dà un esempio significativo di “liberazione dell’anima dal peso della colpa”, per mezzo della “catarsi” che si compie in Oreste – dalla “Ifigenia in Tauride” – per mezzo di una esaltazione dei sentimenti sotto l’influsso di una condizione amorosa:
            “Voi, dei, fate ch’io possa finalmente
            tra le braccia della sorella e sovra il petto
    dell’amico, godere e conservare
    con piena gratitudine, la gioia
    che mi accordate! La maledizione
    si scioglie alfine, me lo dice il cuore.
    Le Eumenidi si fuggono, lo sento,
    verso il Tartaro, e chiudono di colpo
    dietro di  sé le rimbombanti porte
    di bronzo.  Questa terra esali odori
    vivificanti, e sulle sue pianure
    mi chiama ad inseguir le gioie umane
e i grandi fatti”.
Freud pone in rilievo l’azione di Goethe in favore delle persone afflitte da pesi psicologici, come ad esempio, del professor Plessing, di cui racconta nella <Campagna di Francia>: più avanti si parlerà di questo caso.
In una lettera alla von Stein del 5 settembre 1785, si legge:
“Ieri sera ho fatto un gioco di abilità psicologico. La signora Herder continuava ad esser tesa, in uno stato estremo di ipocondria……………Mi feci raccontare e confessare tutto, i misfatti altrui ed i suoi errori, fin nei più piccoli dettagli e fino alle estreme conseguenze: è infine le diedi l’assoluzione e le feci scherzosamente comprendere, con questa formula, che queste faccende erano oramai liquidate e gettate in fondo al mare. E lei si rallegrò ed ora è curata per davvero”.
Freud mette appunto in rilievo il fatto che Goethe stette ad ascoltare con pazienza ed indul-
genza, per terminare con una nota scherzosa, “l’assoluzione”, dimostrando così che anche l’umorismo può essere un fattore terapeutico importante: e che, in un certo senso, questa azione di Goethe, somiglia alle tecniche psicoanalitiche.
Da questi brevi appunti emerge chiaramente il profondo rapporto di Freud nei riguardi di  Goethe, tenuto come pietra di paragone per le sue indagini.
Un singolare rapporto unisce Jung a Goethe, In gioventù si era interrogato sui motivi del male e della sofferenza, come racconta nelle sue memorie. Su consiglio della madre lesse il “Faust” e venne colpito dal modo in cui Goethe parla del male e della redenzione dell’uomo. Jung, che fu collaboratore di Freud, dal quale poi si distaccò fondando la sua “psicologia analitica “ o anche “complessa”, nel 1911 inizia ad avere un profondo interesse per le <fantasie inconscie>, in seguito al quale, probabilmente, condurrà al capitolo sulla <invenzioni fantastiche> del libro “Psicologia dei fenomeni occulti”. E scrive:
“Il mio interesse, in quest’ultimo periodo, si rivolge in maniera specialissima alla fantasia; sicché è facile che io riponga troppe speranze in questi scavi. La <fantasia inconscia> è un incredibile calderone stregonesco”.
facendo un esplicito riferimento al Faust, seconda parte, primo atto, <galleria oscura>:
            “…………….Formazione, trasformazione,
            eterno gioco dell’eterno senso.
            Intorno ad esse aleggiano le immagini
            di tutte le creature. Esse non ti scorgeranno
            perché vedono solo ombre”
A questa ricerca sottostà, in fondo, la saggia espressione goethiana:
    “Se riuscissimo a curare le fantasie con le fantasie, avremmo fatto un capolavoro”
che ci rimanda al contemporaneo Emil Coué, là dove appunto dice nel suo libro “Il dominio di se stessi”:
“Ogni pensiero che occupi esclusivamente la nostra mente, diventa vero per noi ed ha la tendenza a trasformarsi in atto.
Il nostro cervello è come una tavola, nella quale sono conficcati dei chiodi che rappresentano le nostre idee, abitudini, istinti che determinano  le nostre azioni.
Per diventare “padroni di se stessi”, basta pensare di divenirlo.
Lo spirito può e deve rimanere padrone della materia”.
Con altre parole bisogna <sostituire i chiodi> delle abitudini con <altri chiodi nuovi> in relazio-
ne a ciò che si vorrebbe realizzare.
La questione si pone in questi termini: il corpo eterico dell’uomo è il portatore delle abitudini ritmiche acquisite nel corso del tempo: abitudini anche di pensiero, dato che esso è anche il portatore del pensiero e delle immagini. Essendo quindi il portatore-formatore delle immagini–chiodi, si tratta di indurlo – con la ripetizione costante e continua – a sostituirle con altre immagini-chiodi di natura opposta, di guarigione, ad esempio. Cioé: vedere se stessi anzichè in un’immagine di malessere, malattia, incapacità, sofferenza, in un’altra di benessere, salute – il corpo eterico è il <guaritore-terapeuta> nell’uomo – attività, serenità e gioia. L’unico problema è la <volontà>, cioé la costanza e determinazione in questa attività.
E’ il riuscire a “curare le fantasie con altre fantasie”, secondo le parole di Goethe.
In realtà, la parola “immagine” proviene dal latino “imum ago = agisco in profondità”, e quindi     comprensibile ogni genere di attività nel senso qui esaminato.     
Questo modo di operare è oramai acquisito nelle persone che lavorano, ad esempio,. nell’educazione del fanciullo, con risultati eccellenti. La potenza dell’immaginare è quasi sconosciuta e sarebbe opportuno conferirle la valenza che si merita, in quanto risolutiva di  molte situazioni difficili. In fondo si tratta di <sostituire un’immagine, a tutta prima negativa, con un’altra fortemente positiva>. L’effetto è davvero sorprendente!
D’altronde è semplice comprenderlo: un fenomeno unilaterale, si corregge con l’opposto fenomeno unilaterale. Quando il pendolo raggiunge una sommità dell’arco del suo percor-
so, torna indietro e si pone nell’altra sommità, non si ferma al centro: il centro dell’equilibrio, è un fattore dinamico in continua formazione fra un polo e l’altro. Tutti i fenomeni della natura sottostanno alla legge della polarità. Anche nei fenomeni fisici, un’azione si compensa con la contraria, secondo la legge del moto di Newton:
“Ad ogni azione corrisponde una equivalente reazione contraria: le azioni mutue di due corpi qualsiasi, sono sempre equivalenti e seguono direzioni opposte”.
“Trovare una forza singola è impossibile: vi deve essere, e sempre vi è, una coppia di forze equivalenti e contrarie”.
Questa fenomenologia riguarda il mondo fisico, animico e spirituale.
Jung fa un certo riferimento – nell’opera “Tipi psicologici” al tipo “introverso” e quello “estroverso”- all’intuizione di Goethe del principio generale delle “sistole e diastole”.  O, se vogliamo, “contrazione” ed “espansione”  che si ritrova in natura ad esempio nella formazione della pianta: fusto = contrazione, ramo = espansione. Oppure in tutti i fenomeni
naturali: luce=espansione, tenebra=contrazione –  calore=espansione, gelo=contrazione –  equatore=espansione, polo=contrazione; animici: – bellezza=espansione, bruttezza=contra-
zione – virtù=espansione, vizio=contrazione – spirito=espansione, materia=contrazione e così via.

Anche Adler – dal 1902 al 1911 fu allievo di Freud – fa spesso riferimento a Goethe. Un espisodio al quale  riferirsi quello descritto nel XIII° capitolo del V° libro del "Il noviziato di Wilhelm Meister":
    "D’un tratto Mignon si precipitò nella stanza, lo afferrò per un braccio e gridò:<Meister! Salve la casa! brucia!>. Wilhelm fu con un salto fuori della porta e un’ondata di fumo gli si avventò contro dal piano superiore. Sulla strada si sentiva gridare: – Al fuoco! – e l’arpista scendeva intanto giù per le scale, quasi soffocato dal fumo, tenendo in mano il suo trumento. Aurelia si precipitò fuori della stanza e gettò il piccolo Felix tra le braccia di Wilhelm. – Salvi il bambino! – gridò, noi cercheremo di mettere in salvo il resto………….
In quel momento Mignon corse sù gridando: – Meister, salva il tuo Felix! il vecchio è impazzito! il vecchio lo uccide! – Wilhelm, prima ancora di rendersi conto, saltò giù per le scale e Mignon gli corse incontro…….
E nel capitolo XVI° dello stesso libro:
    "Il parroco salutò Wilhelm nel modo più cordiale e gli raccontò che il vecchio aveva già fatto
    progressi e che sperava di poterlo guarire del tutto.
    Il discorso cadde naturalmente sul metodo di curare i pazzi. – Oltre il fisico – disse il parroco –
chei offre spesso difficoltà insuperabili e per cui mi rivolgo al consiglio di un savio medico, trovo che i mezzi per curare la pazzia sono molto     semplici. Sono gli stessi che impediscono all’uomo sano di divenire pazzo. Si susciti in lui un’attività personale e spontanea; si abituino all’ordine; s’infonda in essi l’idea che il loro essere e il loro destino è comune a quello di molti altri uomini; che il talento più straordinario, la felicità più alta e la sventura più     profonda, sono lievi variazioni della norma comune. In tal modo la pazzia non avrà modo di insinuarsi nel loro cervello e, se vi abbia già preso piede, si ritirerà a poco a poco. Ho stabilito un orario per la giornata del vecchio: dà lezioni arpa ad alcuni ragazzi, aiuta a lavorare in giardino, ed è già molto più sereno. Desidera di mangiare i cavoli che egli stesso ha piantato, mette tutto il suo impegno nel dar lezioni  al mio figliolo a cui ha promesso, in caso di morte, di regalare la
    sua arpa. Come sacerdote cerco di parlare il meno possibile dei suoi strani scrupoli;  ma  una
    vita attiva porta con sé tanti avvenimenti che egli dovrà presto sentire che gli scrupoli,
di qualunque genere siano, possono venir fugati soltanto dall’attività. Procedo lentamente. Ma se mi riuscirà di fargli smettere la barba e la lunga veste avrò ottenuto già molto. Nulla infatti ci avvicina tanto alla follìa quanto il volerci     distinguere dagli altri uomini e niente man-
tiene sano il nostro intelletto come il vivere insieme con molto uomini, secondo comuni norme di vita. Quante cose purtroppo sono nella nostra educazione e nel nostri sistema sociale, con cui prepariamo noi stessi e i nostri figli alla follia!
    Wilhelm restò alcuni giorni presso quest’uomo pieno di senno e apprese le storie più interessanti non solo su dei pazzi, ma anche su coloro che si sogliono ritenere sani, anzi saggi, e le cui stranezze non sono molto lontane dalla pazzia".
Ecco dunque un metodo che corrisponde ai principi della moderna psichiatria sociale. Nel IV° capitolo del VII° libro infine, è descritto come, in seguito ad un’avversa concatenazione di fatti, dei quali si sentiva responsabile di grave colpa, il vecchio si uccide.
E qui Adler mette in rilievo la somiglianza – almeno apparente oppure, per converso, assai profonda – fra l’artista ed il nevrotico. Goethe infatti, secondo la descrizione di Adler, manifestava una strana insicurezza nei rapporti amorosi, con una tendenza alla fuga da essi. Quindi una certa "risonanza comune" fra i due aspetti viventi in lui, gli hanno permesso descrizioni realistiche di motivazioni interiori profonde dell’anima umana.

Poco più tardi, anche C.Dickens, nel suo "David Copperfield", descrive la inclinazione fortemente "malinconica depressa" della signora Gummidge che si risolve molto positivamente, quasi improvvisamente, dal momento in cui si è occupata "attivamente" del sig. Peggotty, in seguito ad una dolorosa vicenda occorsagli. Come se si ridestasse dalla sua depressione e diventando attiva la  superasse.

La seguente frase di Goethe – da “Anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister” – chiarisce molto bene quanto cercato di dire qui sopra:
    “Per guarire dalle sofferenze psichiche che ci assalgono per sventura o a causa di nostri errori,
    l’intelligenza non serve e a nulla, la ragione poco, il tempo molto: mentre invece l’attività  risoluta può tutto”.
Nel libro “Il temperamento nervoso” di Adler, si trovano molti richiami all’opera di Goethe. Ad esempio, i sentimenti di insicurezza nell’affrontare la vita e raggiungere la completa virilità, trova in Goethe delle conferme:
    “Goethe, tra gli altri, ha osservato giustamente che, pur ricollegando le sue percezioni alla
soddisfazione di bisogni della vita pratica, l’uomo tende nondimeno a superare questa vita con la forza del suo sentimento e della sua immaginazione. ……..In una delle sue lettere a Lavater scrive:<Il desiderio di elevare il più possibile la cima della piramide della mia esistenza, della quale già esiste la base, piantata nel suolo, questo desiderio supera tutti gli altri e non mi lascia un minuto di riposo”.
 Adler ritiene che i sogni siano una sorta di preannunzio del futuro, e scrive:
“Uno dei massimi geni dell’umanità, che come in una fiamma raccoglieva nella sua anima le sensazioni di tutta l’umanità, Goethe, ha espresso in una ballata in modo meraviglioso questo <guardare nel futuro> del sognare e la forza preparatorio che ne consegue. Il Conte ritornato dalla Terrasanta, trova il suo castello devastato e vuoto. Durante la notte egli sogna dei nani che celebrano uno sposalizio. La ballata finisce:
        Se vogliamo cantare il seguito della vicenda
        si acqueti la frenetica baldoria.
        ……………………………………………
        Trombe ed eco di suoni e di canti
        e carri, cavalieri e cortei nuziali
        vengono, appaiono, si inchinano tutti
        folla infinita di genti in festa
        Così fu allora e così resta oggi.
        Così il poeta ha messo in risalto come i pensieri
        del sognatore siano volti al matrimonio e ai figli.
Si può notare da quanto sopra, che l’interpretazione dei sogni in sede psicanalitica è assai mutevole e segue la teoria dello scrivente. Sicuramente Freud l’avrebbe sistemato diversamente e Jung fra i tipi dell”inconscio collettivo”.
E a proposito della posizione di Goethe dinanzi  all’amore, come già detto sopra, Adler vede nel Faust una ricerca continua del problema amoroso:
“La grandezza della sua arte – di Goethe – è data dal fatto che tutti i suoi aspetti trovano in noi una risonanza, quando egli fa cantare il canto eternamente nuovo della tensione fra i sessi, in cui le persone temono che la dedizione equivalga alla perdita della personalità, alla soggezione o alla schiavitù”.
E secondo Eduard Hitschmann le caratteristiche della relazioni amorose di Goethe erano violente, burrascose nell’innamoramento, seguite da un’incertezza e tormento interiore e, infine, la fuga dall’amata, seguita da rimproveri verso se stesso. 
Come si nota, l’impegno posto da Goethe è notevole anche per Adler. Però, non si può dire che, da lui, sia stata prodotta un’interpretazione esaustiva della personalità di Goethe, secondo la sua "psicologia individuale”.

Gli esercizi di autocontrollo che Goethe praticò per uscire dalle sue precarie condizioni fisiche e poi psichiche, sono certamente una sorta di introduzione alle successive forme di aiuto psicoterapeutico. Nell’autobiografia già citata, nel libro nono della seconda parte, si può leggere:

“………..avevo da lottare interiormente ed esteriormente con tutt’altre situazioni ed altri avversari, essendo in dissidio con me stesso, con gli oggetti, anzi con gli elementi. Mi trovavo in uno stato di salute che mi favoriva a sufficienza in tutto quello che volevo e dovevo intraprendere: ma mi era rimasta una certa suscettibilità che non mi lasciava sempre in equilibrio. Un forte rumore mi urtava, situazioni di ammalati mi destavano ribrezzo e orrore. Ma specialmente mi preoccupava un capogiro che mi prendeva tutte le volte che guardavo giù da una certa altezza, cercai di rimediare a tutti questi mali e precisamente, non volendo perdere tempo, lo feci in maniera alquanto violenta……………Salivo tutto solo sulla cima pIù alta della torre del duomo e stavo seduto nel cosidetto collo, sotto il pomo e la corona un buon quarto d’ora, finché osavo uscire all’aperto: dove, stando in piedi su di una lastra che potrà misurare appena un gomito di superficie, quasi senza potermi appoggiare, si vede davanti a sé la terra sconfinata, mentre le cose e le decorazioni più vicine  nascondono la chiesa e quel che è sotto di noi. E’ esattamente come se ci si vedesse sollevati nell’aria da una mongolfiera. Mi sottoposi così spesso a questa paura e a questo tormento, finché l’impressione mi divenne del tutto indifferente……..”
Questo accadeva a Goethe  subito dopo l’arrivo a Strasburgo: in seguito, negli anni, ovvia-
mente maturato e rinvigorito, manifesterà un’opinione diversa, come da una lettera:
“Un tempo il mondo mi appariva privo di spirito. Il medico del cielo ha rinvigorito nel mio corpo il fuoco della vita: e coraggio e gioia sono tornati”.
E in altra lettera scrive:
“Il coraggio ci spinge alle difficoltà e ai pericoli. Ma le grandi gioie si conquistano soltanto con grande fatica”.
Sempre nell’autobiografia, indica ulteriori situazioni sgradevoli che ha voluto combattere per superarle. Nel libro ottavo leggiamo:
“……..e in seguito, nelle ascensioni in montagna ed in escursioni geologiche, nelle grandi fabbriche dove giravo a gara con i muratori sulle travi sporgenti e sui cornicioni degli edifici, e persino a Roma, dove per vedere da vicino opere d’arte importanti, bisogna compiere simili temerarietà, trassi grande vantaggio da quegli allenamenti.
Anche l’anatomia era per me doppiamente preziosa, perché mi insegnava a sopportare la vista più ripugnante , soddisfacendo la mia brama di sapere.  Così frequentai anche le lezioni di clinica medica……..come pure il corso di ostetricia, con la doppia intenzione di imparare a conoscere tutti i casi di malattia e di liberarmi da ogni apprensione davanti a cose ispiranti ribrezzo. E giunsi realmente al punto che nulla  di simile poteva farmi perdere il dominio di me stesso. Ma non solo cercai  di agguerrirmi  contro queste impressioni sensibili, bensì anche contro le tentazioni della fantasia. Le impressioni piene di presagi e di brividi nelle tenebre dei cimiteri, dei luoghi solitari, delle chiese e cappelle di notte, e ciò che vi può essere collegato, tutto mi divenne alla fine altrettanto indifferente. E anche in questo riuscii così bene, che infine il giorno e la notte e qualsiasi luogo furono per me assolutamente uguali, e che, anzi, quando più tardi mi venne voglia di provare ancora una volta in tali ambienti i brividi piacevoli della gioventù, potei a malapena evocarli forzatamente, richiamando in me le immagini più strane e paurose”.
Le varie personalità mediche specializzate, tratteranno queste parole di Goethe in modo del tutto diverso e contrastante, sulla scia del loro personale siste